Dal 1° luglio nasce Unicoop Etruria. È l’epilogo di una lunga agonia, non l’inizio di una nuova era. È il punto di arrivo di un progetto di gestione fallimentare – o forse consapevolmente distruttivo – che ha portato alla fine Unicoop Tirreno, un tempo “La Proletaria”, una delle esperienze cooperative più radicate nel tessuto sociale di Toscana, Lazio, Umbria e Campania.
Si disse, all’epoca, che l’abbandono della Campania fosse un sacrificio necessario, un passo doloroso ma inevitabile per salvare il resto. La verità, che i fatti hanno puntualmente confermato, è che chi guidava allora non sapeva che pesci prendere. O peggio: sapeva benissimo dove voleva portare la barca. E la barca, con il contributo attivo o il silenzio complice di molti, è affondata.
La Presidenza Lami è stata il volto di questa disfatta. Oggi il Presidente si gode la sua pensione – “giustamente” diranno alcuni – ma non può cancellare la responsabilità storica di aver accompagnato, se non guidato, il naufragio. Con lui, tutti quei dirigenti, quadri, funzionari che per anni hanno tenuto il timone facendo finta di non vedere che la rotta conduceva dritta verso l’iceberg.
Incapacità o partecipazione consapevole al disastro? La domanda resta aperta. Quel che è certo è che nessuno può dirsi estraneo a questa fine. Tantomeno quelle sezioni soci che avrebbero dovuto rappresentare un controllo dal basso, un presidio democratico, e che invece si sono limitate ad avallare decisioni, quando non si sono trasformate esse stesse in parte del problema.
Un atto davvero responsabile, oggi, sarebbero le dimissioni di chi ha contribuito – attivamente o per inerzia – a questo disastro. Quei funzionari che per anni hanno percorso i territori rassicurando tutti, dicendo che andava tutto bene, oggi dovrebbero almeno avere il coraggio di spiegare che non si tratta di un nuovo inizio. È semplicemente la fine.
16 negozi passeranno a Unicoop Firenze. Gli altri? Destinati a restare sotto l’ombrello di questa nuova realtà, Unicoop Etruria, con quali prospettive? Con gli stessi dirigenti che hanno creato il problema? Con gli stessi funzionari che hanno taciuto o partecipato? Davvero si pensa di rilanciare con chi ha distrutto?
Il gioco era chiaro da tempo: svendere, drenare risorse, fare bilanci in pareggio sulla pelle dei lavoratori, garantire bonus a manager strapagati, salvare interessi immobiliari e clientelari. Tutto con la complicità silenziosa di un modello cooperativo snaturato, che ha perso il senso della propria missione.
E ora? Ci ritroviamo con un’azienda che, per sopravvivere, si fonde con un’altra realtà già svuotata, già sfruttata, ridotta a contenitore senza forza. Si fondono due debolezze, si sommano due crisi, nella speranza – folle – che facciano una forza.
Il nome “Unicoop Etruria” non lascia ben sperare. La storia recente del Consorzio Etruria e della Banca Etruria ce lo insegna: dietro quel nome si nascondono fallimenti, depotenziamento, miseria sociale e morale. Ma questo, evidentemente, interessa poco.
Come Cobas Commercio, l’abbiamo detto da anni, spesso inascoltati o derisi: questa era la direzione. Abbiamo denunciato le inefficienze, l’incapacità, la povertà culturale e professionale di una classe dirigente che ha tradito la cooperazione, piegandola a logiche manageriali, clientelari e speculative.
Lo avevamo detto. E purtroppo avevamo ragione.
Ma non ci fermiamo qui. Continueremo a lottare, a fianco delle lavoratrici e dei lavoratori, per difendere ciò che resta, per impedire che anche il Lazio e l’Umbria vengano svuotati, per chiedere chiarezza e responsabilità.
Non vogliamo un funerale di Stato. Vogliamo che qualcuno risponda

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