Pubblicata l’analisi periodica dell’Inail di tutti i settori lavorativi, il Commercio risulta uno dei più a rischio con infortuni e stress da lavoro. All’indomani della Giornata nazionale dei morti e degli infortuni sul Lavoro abbiamo assistito a bei discorsi e all’ennesima passerella istituzionale, nessuna proposta concreta è stata fatta. Parole di vicinanza e vuote manifestazioni sono inutili quando poi si resta in silenzio di fronte ai continui abusi perpetrati da aziende e datori di lavoro.
In Italia, i lavoratori uccisi sono in media quattro al giorno, da gennaio ad oggi sono stati uccisi 1181, di cui 782 sul luogo di lavoro, gli altri nel tentativo di raggiungerlo o lasciarlo, sono già 7 in più rispetto all’intero 2022 (dati dell’Osservatorio di Bologna). Gli infortuni, spesso con esiti gravissimi e invalidanti per tutta la vita superano i 700 mila l’anno.
Il Commercio occupa il triste podio fra i settori più a rischio, terzo dopo Costruzioni e Manifattura. Il 76% degli infortuni avviene all’interno di negozi e magazzini e il restante in itinere.
Nessuno di questi è provocato da disattenzione o dalla casualità che un incidente possa accadere, sono tutti la conseguenza diretta delle condizioni di lavoro.
I carichi di lavoro sono eccessivi rispetto al tempo a disposizione e il dover lavorare sempre sotto organico fa il resto.
Il 36% degli infortuni riguarda gli arti superiori, seguiti da quelli agli arti inferiori al 26%, colonna vertebrale (15 %) e testa (13 %).
Si tratta soprattutto di lussazioni, distorsioni e distrazioni (29%) o di contusioni (28%), ferite (22%) e fratture (16%).
Spesso i sistemi di sicurezza, come il frenaggio o il fermo nell’alzata dei carrelli, studiati appositamente per impedire che i lavoratori vengano travolti o schiacciati, sono appositamente manomessi per non rallentare i lavori.
Troppe volte assistiamo alle lacrime di comodo se il lavoratore ucciso è giovane o genitore da poco, poi il silenzio, proprio da parte di coloro che guadagnano su sfruttamento e minacce.
Nel Commercio, il 70% dei contratti sono part time e non per libera scelta del lavoratore, ma perché costretti dal datore che preferisce assumere a meno ore, tanto le ore in più effettuate vanno in flessibilità, mai pagate, forse recuperate.
Siamo tornati alla normalità pre-pandemia quella normalità che ci uccide.
Una diversa organizzazione del lavoro è il punto principale di lotta e rivendicazione, da questa dipendono il riconoscimento del giusto salario, la possibilità di nuove assunzioni e il rispetto delle norme su salute e sicurezza.
P/COBAS del lavoro privato- Luca Paolocci